C'era una volta
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Alla Signora di Montespan  

 
È la Favola un dono degli Dèi, o se mortale fu quei che pel primo il bel dono trovò, ben d'un altare egli è degno e dovrìan tutti i mortali a tanto saggio offrir culto divino.

La Favola davver è un dolce incanto, per cui l'anima attenta è fatta schiava del tenue fil, che col racconto i cuori a piacimento e l'intelletto move.

O voi, non meno affascinante, Olimpia, se mai la Musa mia sedette a caso qualche volta alla mensa dei celesti, prego, allietate d'uno sguardo il canto, in cui lieto lo spirito trastulla del vostro amico. Ove a' miei versi ottenga la protezion dei vostri occhi gentili, non più l'insulto temerò del Tempo, d'ogni altra cosa struggitor perverso.

Solo da voi dovrà qualunque in Francia tiene la penna attender vita e lume. Da voi, se un raggio ne' miei versi brilla, solo deriva, che maestra e guida a rigo a rigo seguitate il canto del povero poeta. E quale al mondo può gareggiar con voi nella dottrina delle cose più belle e più gentili?

Parole e sguardi in voi sono una grazia, e ben vorrìa, se non spingesse un altro e lungo tema, in voi fissar la Musa sempre lo sguardo; ma non manca a voi chi più bene di me l'allòr vi cinga.

A me basta che il nome oggi d'Olimpia protegga il mio volume, onde sicuro vada pel mondo e dalla bieca invidia si salvi. Un libro, a cui concesso è il guardo d'Olimpia, è degno che lo legga il mondo.

Non per me questo imploro alto favore, ma pel ben della Favola, che vanta, come sapete, crediti infiniti da noi. Se la Bugia m'ottien la grazia di piacervi, o gentil, un alto tempio innalzerò devoto alla Bugia... Ma forse meglio adoprerò l'ingegno se sol per voi fabbricherò miei templi.