C'era una volta
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I compagni di Ulisse (Al signor duca di Borgogna)  

 
O dei Numi immortali unico oggetto e cura e amor, a me date ch'io possa i vostri altari, o Principe, quest'oggi di qualche profumar nobile incenso.

È un poco tardi e a me scendono gli anni ahimè! Già troppi, onde il mio spirto giace languido e stanco, mentre in voi ribolle e cresce e grida giovinezza e vola come avesse cent'ali.

Il grand'Eroe, dal qual traeste qualità sì belle, non arde men, quando lo chiama il suono della bellica tromba, e a lunghi passi andrebbe solo a stringer la vittoria entro la man, ove non fosse un dio (il gran Luigi, io dico, avolo vostro) che il trattenesse.

Vincitor del Reno in un breve girar di soli il mondo lo vide, quando fulmine di guerra scese con arte, che sarebbe ardita oggi, e fu bella al minacciar dei mali.

Ma basta, Signor mio. Riso ed Amore, che in casa vostra sono i tutelari geni e vi seguon sempre ombre fedeli, non aman le noiose litanie.

Altri Dèi favorevoli governano le cose vostre, io dico la Ragione ed il Buonsenso con sicuro impero.

Se voi li consultate, a voi diranno qual senso ascoso si rimpiatti in fondo di quel racconto, in cui detto è dei Greci che, pazzi ed imprudenti, entro condotti alle vane lusinghe, in sozze e cieche bestie cangiaron l'immortal natura.

Dopo dieci anni di sofferti affanni i compagni d'Ulisse in preda al vento ivan perduti e di lor sorte incerti; quando approdâr ove sua corte tiene con lusinghieri inganni Circe, figlia del Sol.

In un momento per opra di velen dolce e sottile a lor guastò le vene e tolse il lume di ragion.

Ed ecco non molto tempo dopo, a qual spuntan le corna, a quale il becco, chi diventa elefante, orso o leone, e chi ridotto in picciola misura ti piglia la figura d'una talpa, d'un rettile, d'un topo.

Soltanto Ulisse, al qual diede natura astuto accorgimento, sfuggì della malvagia al tradimento. E poi che unisce a saggio accorgimento alto valore e nobile figura, a veleno opponendo altro veleno, trasse la maga in quel soave ardore che sforza a favellar voci d'amore. Nessuna dea, si dice, può nascondere la fiamma ch'ha nel core.

Ulisse prese la parola al volo e comperò il riscatto facilmente di tutta la sua gente.

- Vorran essi tornar, - dicea la diva, - alla sembianza loro primitiva? Per me poco lo credo, ma di farlo, se credi, lo concedo -.

Subito Ulisse vola dove sen stanno come porci in brago i suoi compagni e dice: - Ogni veleno ha il suo rimedio e questo io tengo in mano.

Di voi, se alcuno è vago di ripigliar l'antico volto umano, parli, ché ridonata è la parola.

Parla il Leon, credendo di ruggire: - Per me non son sì matto, e rinunciar non voglio ad ogni patto ai beni che acquistai nel divenire Leon con ugne e denti, che fan tanta paura ai prepotenti.

Oggi son re; ma se si cangia il fato, e torno ancora cittadino d'Itaca, il re ritorna un umile soldato -.

Ulisse allora si rivolge all'Orso e: - Amico, - esclama, - o amico poveretto, quanto mutato d'animo e d'aspetto! - Qual male? - all'uomo saggio rispondeva il buon Orso in suo linguaggio.

- Per orso son ben fatto, né devi giudicar che il bello sia soltanto in una forma e in armonia col tuo giudizio ovver col tuo ritratto. Che se non credi ancora, dimandalo a quest'orsa che mi adora. Se ti dispiace, va', lascia ch'io goda in pace il mio far nulla e la mia libertà. È bello quel che piace -.

Ulisse, il greco principe, si volta al Lupo e, prevenendo la risposta: - Fratello, - dice, - ah! quanto al cor mi costa che tu sia così tristo doventato. Tu fosti valentuomo un'altra volta pronto a salvar gli armenti, ed ora, Lupo cieco ed arrabbiato, le pecore spaventi, e di tue stragi fai pianger la bella gentile pastorella.- E ciò che importa a me, padrone Ulisse? - il tristo Lupo disse.

- E tu chi sei, che a me parli d'amore e sensi di pietà? Senza di me non vedo forse gli uomini mangiar montoni e pecore e nei villaggi spargere il dolore? Uomo posso tornar, ma non umano, per la mia fe', s'io miro come in fraterne stragi l'uom deliro insanguina la mano, e Lupo di se stesso anche diviene.

Tutto sommato adunque il male e il bene, visto, considerato che scellerato vale scellerato, e che d'essere Lupo ancor conviene, non voglio cangiar stato -.

A quanti Ulisse fece la proposta non ebbe altra risposta. Grandi e piccini tutti preferivano la libertà, l'aperta aria dei boschi e il far quel che più pare alla gloria difficile ed incerta delle belle virtù. E mentre si credean dai ceppi liberi, cadevan di se stessi in servitù.

Avrei voluto, o Principe, un felice argomento inventar, nel qual commisto fosse l'utile al dolce: ma vi è noto, Signore, come forma non si accorda molte fiate all'intenzion dell'arte.

Ben venga Ulisse co' compagni suoi, io dissi alfin, di cui l'esempio è vivo ancor nel mondo; questi stolti (e sono molti i seguaci) avran nell'alto e santo sdegno del vostro cor giusto castigo.