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ra sorta fra l'Api e i Calabroni per un favo di miel una gran lite, di cui volevano essere padroni d'ambo le parti e con furore tale, che infine il grande affare d'una Vespa fu tratto al tribunale.
La Vespa non sapea che giudicare. Intorno al miel alcuni testimoni dicean d'aver veduto bestie alate giallo-nere, ronzanti e fusolate, ma in queste condizioni potevan esser api e calabroni. Torna la Vespa allora a investigare, interroga un intero formicaio, ma le cose non restano più chiare. Allor disse una Pecchia: - O non vi pare che duri già da un pezzo questo guaio? Il miele va in malora e a danno nostro; ché mentre noi spendiamo in bollo e in tassa, in carta, in procedura ed in inchiostro, del nostro miel è il giudice che ingrassa. Andiam invece ed api e calabroni a lavorar nell'orto, e le case ed i favi più ben fatti indicheranno la ragione e il torto -. Naturalmente dissero di no i Calabroni, e il miele alle Pecchie la Vespa giudicò. Magari si facesse ogni processo, come dicon che facciano in Turchia, senza tutta la lunga litania di spese e ciarle inutili d'adesso! Il buon senso val più di tutti quanti i codici, o, sofferto strazi e croci, il giudice di solito ha le noci, e non restan che i gusci ai litiganti. |
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