C'era una volta
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Il Castaldo, il Cane e la Volpe  

 
Si narra che una Volpe delle fini solesse venir spesso per rubare dentro il cortile d'una fattoria.

(Lupi e Volpi non son cari vicini e accanto a casa loro, in fede mia, andrei malvolentieri a fabbricare).

Venìa la Volpe, ma con suo dispetto ai polli non potea fare il colpetto. Tra il pericolo posta e la gran fame di dentro si rodeva.

- Il padrone, - diceva, - il vecchio infame dell'arti che ogni notte invento ed uso, e delle mie fatiche seguita sempre a ridermi sul muso.

E mentre io corro e fuggo e di fame mi struggo, egli cangia i capponi e le pollastre in soldi buoni e in piastre.

Mentr'ei ne tiene una fila impiccata, io vecchia giubilata salto di gioia e ballo se acciuffo un vecchio gallo.

Perché dunque chiamasti, o sommo Giove, la figlia tua di volpe alla missione? Ah! giuro per Plutone e per il ciel che ci vedremo altrove -.

Questo premendo in cor odio tremendo, mentre va di papaveri spargendo Morfeo l'umida notte, mentre il padron dormia, e dormivano in casa i servi, il cane, polli, galli, capponi in compagnia, nessun s'accorse - e fu non poco errore - che aperta era la porta per di fuore.

La Volpe gira tanto, che alla fine trova la breccia aperta. Entra e ti fa tal strage di galline, che tutta a sangue va la povera città.

Allo spuntar del sol oscene salme gli accorrenti videro ed ossa e carni palpitanti al suol.

A tanto orror poco mancò che il Sole non tuffasse i cavalli in fondo al mare.

Oh avessi le parole di colui che d'Apol l'ira descrisse, quando tutto l'esercito trafisse dei Greci e fe' volare le saette di fatal morbo infette, onde uccise le schiere a cento a cento in una notte il divo arco d'argento!

Tal intorno alla tenda fe' di pecore e buoi la strage orrenda il furibondo Aiace, credendo vendicar sugli animali l'ingiurie dei rivali che negate gli avean l'armi di Achille. Questa Volpe di lui non meno audace abbatte, uccide, piglia e i miseri scompiglia.

Quando venne il padron, secondo il solito prese a gridar coi servi e poi col Cane: - O bestia maledetta, o bestia stupida, buona a mangiar del pane, perché non abbaiar, non dare un segno? - Se voi, signori miei, - dice la bestia, - padrone e servitori, a cui conviene, invece di dormir come di solito vi foste tolta un poco la molestia di chiuder l'uscio bene, avreste fatto meglio.

A me che importa (che senza guadagnar ci perdo il sonno) se chiusa oppure aperta sia la porta? - Questo discorso tutto a fil di logica avrebbe fatto onore non solo a un can, ma a un dotto professore.

Ma siccome non era infin che un cane, in mezzo lo pigliarono e finiva il meschin di mangiar pane.

Io parlo a te, buon padre di famiglia (onor che non t'invidio), guarda cogli occhi tuoi ciò che salvar tu vuoi.

Non credere che mentre dormi in letto altri chiuda per te l'uscio e l'armadio.

Se proprio la tua casa ti sta a petto, chiudi gli occhi per l'ultimo e procura di non fare mai nulla per procura.